Articolo pubblicato su Ricerca di Senso volume 8 Ottobre 2010 edizioni Erickson Trento. A cura di:
Attivare un corso di Biodanza con disabili non significa tanto proporre un progetto semplicemente ricreativo, quanto offrire la possibilità di stimolare le risorse insite in ogni persona affinché ciascuno senta di essere unico e, al tempo stesso, in connessione con gli altri. La proposta di Biodanza, infatti, possiede questa duplice valenza: rafforzare le individualità, valorizzando le differenze e, allo stesso tempo, fortificare il senso di appartenenza ripristinando la capacità di formare legami con gli altri membri del gruppo in cui è fondamentale percepire le somiglianze.
Stimolare le risorse insite in ogni persona affinché ciascuno, pur nella sua diversità, si senta portatore di un valore intrinseco è la proposta che la Biodanza realizza attraverso la stimolazione di esperienze “vissute” a partire dalla musica, dal movimento corporeo e da situazioni d’incontro di gruppo. Queste esperienze “vissute” sono inserite in un Modello Teorico operativo creato dal prof. Rolando Toro e collaudato in oltre quarantacinque anni di attività, capace di offrire struttura e significato al metodo. Lo scopo di queste esperienze è quello di intensificare la percezione di sé e dell’altro e di promuovere il benessere individuale e relazionale. L’idea di proporre tale esperienza in un servizio diurno che accoglie adulti disabili, con un ritardo cognitivo medio grave, nasce da un’équipe di lavoro che riconosce alla disabilità modi “altri” di fare esperienza e di esprimersi nelle relazioni; modi non convenzionali, come quello verbale, ma altrettanto efficaci se ci si pone in una posizione di ascolto. Questo perché un aspetto fondamentale della presa in carico è la relazione: la persona in condizione di bisogno ha la possibilità sia di essere accolta per riuscire a stabilire un rapporto di fiducia ed esprimere liberamente le proprie emozioni, sia di acquisire modalità interpersonali positive, di apprendere la capacità di sintonizzarsi con l'altro e di poter riparare le modalità relazionali disfunzionali fino a quel momento acquisite. Per raggiungere tale obiettivo non sempre il canale verbale è quello elettivo.
Su tali basi è stato realizzato il progetto con i disabili del centro diurno della Cooperativa Futura in provincia di Brescia condotto dalla pedagogista Isabella Casadio e dallo psicologo Marcelo Mur, entrambi insegnanti con ampia esperienza di Biodanza. Questa iniziativa, promossa per il secondo anno dal presidente della Cooperativa Benito Giacobbi e da Tiziana Manigrasso, coordinatrice del servizio, è stata indirizzata a un gruppo di 12 persone adulte con disabilità medio-grave di tipo cognitivo, fisico (due erano in carrozzella) e, in alcuni casi, anche psichico. Tra le patologie conclamate erano rintracciabili sindrome di Down, autismo, epilessia. Gli incontri sono stati realizzati alla mattina con una frequenza di una volta a settimana per un totale di venti sessioni, ciascuna della durata di un’ora. Nel corso dell’attività sono stati sempre presenti gli educatori di riferimento insieme a qualche operatore e volontario: la loro partecipazione molto sentita e collaborativa è stata di grande aiuto per il buon esito del percorso. Su richiesta dei conduttori e in accordo con la coordinatrice, sono stati realizzati tre incontri con l’intera equipe. Nel primo incontro sono stati segnalati i bisogni dei singoli partecipanti su cui venivano anche indirizzati i progetti individualizzati, ma soprattutto è stata identificata come macro obiettivo per l’intervento di Biodanza, la necessità sia di fortificare il senso del gruppo tra gli stessi partecipanti sia di favorire la conoscenza tra disabili ed educatori che, per una serie di vicissitudini (sostituzione maternità e rientri da aspettativa), risultavano quasi tutti nuovi. Nell’incontro intermedio è stato fatto il punto della situazione ed è stato ricalibrato l’intervento secondo le osservazioni effettuate fino a quel momento e, per finire, nell’ultimo incontro è stata valutata la proposta anche alla luce dell’analisi delle videoriprese effettuate all’inizio e alla fine dell’intervento.
Nell’arco di cinque mesi sono stati perseguiti i seguenti specifici obiettivi:
1. Favorire e arricchire la qualità dei movimenti attraverso esercizi ritmici, di espressività e danze con movimenti rallentati;
2. Innalzare il tono dell’umore con giochi, danze a due, danze a tre, a quattro e di tutto il gruppo;
3. Rinforzare l’identità con danze al centro affinché ogni partecipante avesse l’opportunità di mostrarsi agli altri e gli altri potessero vederlo, riconoscerlo e confermarlo attraverso, per esempio, l’incitamento vocale e la restituzione di un applauso;
4. Favorire la comunicazione affettiva in feedback da una parte con interazioni più attente insieme a tutti i compagni e agli operatori realizzate mediante sguardi, contatti di mani, carezze, abbracci; dall’altra attraverso situazioni di incontro a due in cui ognuno poteva esprimere la propria forza ponendo limiti e dissentendo dall’altro, sempre nel rispetto di sé e dell’altro;
5. Promuovere l’integrazione del gruppo non solo tra disabili ma anche tra disabili e operatori. Essa è stata promossa attraverso situazioni di incontro realizzate con reciprocità in cui ciascuno potesse accogliere ed essere accolto.
La metodologia della Biodanza si articola sull’integrazione tra musica, movimento ed esperienze “vissute”. Dalla coerenza delle relazioni tra questi tre elementi dipende l’efficacia del Sistema Biodanza. Ogni esercizio che implica una determinata musica e il movimento da essa stimolato e a essa coerente, favorisce un’esperienza specifica. Gli esercizi di Biodanza sono dei modelli che facilitano esperienze di integrazione (corpo-mente, io-tu, io-ambiente) e possono essere realizzati da tutti. La musica utilizzata ha l’obiettivo di favorire movimenti ed esperienze integranti e, quindi, viene scelta con cura attraverso criteri precisi. Essi sono: la coerenza tra il brano musicale e i movimenti stimolati, il contenuto emozionale definito e intenso, il tema stabile e che esprima uno stato d’animo elevato. Questi quattro requisiti devono verificarsi tutti contemporaneamente nella stessa musica perché la mancanza di uno solo di essi impedisce il risveglio della esperienza d’integrazione. La scelta delle musiche è stata realizzata da Rolando Toro con grande rigore ed è garantita dalla sua rara sensibilità musicale. Il movimento corporeo stimolato è naturale come camminare, saltellare, salutare, danzare in coppia e in cerchio, oltre che realizzare gesti propri della specie (adorazione, senso di maternità, di intimità, lavoro agricolo, ecc.). La Biodanza promuove l’integrazione tra movimento e cenestesia positiva (sensazione di benessere percepita qui e ora). Tutti possono trarre giovamento da questa attività, anche coloro con limitate capacità motorie, poiché la Biodanza favorisce la sensazione dl sentirsi vivi per mezzo dell’altro e con l’altro. Per spostarsi e danzare insieme sono sufficienti una stretta di mano e uno scambio di sguardi; la musica e la poetica dell’incontro amplificano l’esperienza vissuta. Gli esercizi hanno lo scopo anche di esaltare le caratteristiche personali e tutto ciò ha l’effetto di rinforzare i circuiti dell’identità sana e della vitalità. Le esperienze “vissute” qui e ora si originano non solo nell’integrazione tra musica e movimento, ma anche nell’incontro di gruppo, nel contatto e nella carezza. Sono questi degli strumenti molto potenti e particolarmente impegnativi nella loro applicazione: l’insegnante di Biodanza è un operatore preparato per proporli nei tempi e nei modi più adatti a ogni utenza. Per la persona disabile, l’incontro, il contatto e la carezza rappresentano possibilità immediate di sentirsi se stessa, di percepirsi rispettata, valorizzata, amata e accettata; di sentire il corpo come fonte di piacere e, allo stesso tempo, come potenziale di espressione creativa.
Nello specifico le esperienze “vissute” che sono state stimolate con i partecipanti possono essere raggruppate in tre macro insiemi strettamente interconnessi: vitalità, creatività e affettività. Le esperienze della vitalità riguardano le funzioni di attività e di riposo. Risvegliano sensazioni di energia e dinamismo, emozioni di allegria e di entusiasmo. È stato osservato quanto fosse importante favorire questi vissuti con i partecipanti, dando loro la possibilità di vivere tutte le diverse sfumature che andavano dall’allegria serena fino all’euforia. Le proposte per loro più coinvolgenti sono state quelle che invitavano al gioco. Nel favorire il movimento, è stata riscontrata una certa difficoltà a danzare i ritmi molto veloci perché si affaticavano facilmente, mentre riuscivano bene a realizzare movimenti lenti. Quest’ultimo aspetto risulta importante poiché favorisce l’esperienza emozionale dell’auto-percezione, presupposto all’espressione autentica di sé, dal momento che esprimersi implica portare fuori contenuti interiori. Le esperienze di creatività riguardano l’espressione di sé e sono state stimolate al centro del cerchio attraverso la possibilità di offrire una propria danza e di vocalizzare il proprio nome con la voce. Nell’esprimere la propria unicità e diversità, è stato curioso e sorprendente osservare come un po’ per volta l’apprensione dei partecipanti si stemperava nell’entusiasmo di andare in centro a manifestare la propria identità e a ricevere riconoscimenti attraverso gli applausi di tutto il gruppo. L’affermazione della individualità ha avuto senso quando integrata nel gruppo. Le esperienze di affettività si relazionano alla comunicazione e alla comunione con qualità più sensibile e attenta. Tali esperienze hanno migliorato la capacità di interazione reciproca. Diversi partecipanti dopo le prime sessioni dimostravano il proprio entusiasmo di fronte allo scambio di abbracci e di carezze. Molto apprezzate e sempre richieste sono state, infatti, le esperienze di contatto con cura che ogni partecipante offriva e riceveva nelle modalità che volta per volta riusciva a scambiare. Diverse persone hanno rivelato la capacità sia di ricevere carezze sia di poterle offrire ai compagni e agli operatori. Questo ha aperto un canale verso la realizzazione del gruppo come contenitore per la convivenza in armonia in cui ciascuno può fortificare la sua individualità e il suo senso di appartenenza.
La Biodanza è stata definita dal suo ideatore come un sistema di integrazione umana che si realizza attraverso il rinforzo delle capacità presenti, lo sviluppo delle potenzialità e lo stimolo sia dell’affettività sia della capacità di sentire immediatamente, di esperire la vita in sé e nel mondo circostante . Questo sistema di integrazione affettiva giova a tutti, indipendentemente dalle capacità motorie, psichiche o intellettuali.
In Biodanza avviene un vero e proprio riapprendimento di funzioni che sono basilari: quelle collegate al mondo delle emozioni. In esse troviamo l’impulso a muoverci, ad agire e il suo opposto complementare a riposarci, così come l’impulso a mostrarci e quello a mimetizzarci, quello gregario e d’isolamento. L’insegnante “incarna” -secondo il modello di Gallese dei neuroni specchio- gli impulsi che vuole stimolare e l’apprendimento si rinforza per imitazione differita . L’attivazione dei neuroni specchio e l’esercizio della “simulazione incarnata” permettono non solo di sperimentare nuove possibilità di movimento ampliando il bagaglio di atti motori, ma di potenziare anche le capacità emotive, cognitive e percettive. La recente scoperta dei neuroni specchio ha, infatti, permesso di convertire il modello lineare in uno bidirezionale di integrazione sensorio-motoria in cui il movimento interagisce in un feedback dinamico e circolare con gli altri tre aspetti. Oltre all’apprendimento per imitazione, la ripetizione e la qualità emozionale degli stimoli proposti funzionano da rinforzo positivo nell’apprendimento per ripetizione. Questo favorisce la plasticità cerebrale e i cambiamenti a livello comportamentale , anche se l’esperienza maturata negli anni porta a sottolineare che per stabilizzare i cambiamenti serve offrire continuità e sviluppo al corso di Biodanza. E’ necessario, infatti, che le proposte non solo vengano ripetute per essere maggiormente incorporate, ma siano anche approfondite ogni volta un po’ di più attraverso una accurata progressività capace di dare impulso a nuove abilità. La gradualità nell’offrire stimoli più intensi, operata secondo la sensibilità del conduttore e l’osservazione dei partecipanti, ha il duplice scopo da una parte di mettere il disabile nelle condizioni sia di saper fare ciò che è capace di fare limitandogli frustrazioni inutili sia di incoraggiarlo a sviluppare nuove capacità e, dall’altra, di ampliare lo sguardo negli operatori e spostare la loro attenzione dal semplice bisogno al riconoscimento di abilità differenti. La sinergia tra ripetizione dello stimolo (specifici esercizi di movimento e incontro), imitazione (l’insegnante dimostra ogni proposta) e qualità emozionale degli stimoli (grazie all’uso di musiche scelte) proposti con gradualità permette che la situazione risulti conosciuta, prevedibile e rassicurante. In questo modo i partecipanti possono abbandonarsi alle proposte e osare ogni volta un po’ di più superando, ciascuno nei propri tempi e modi, le proprie limitazioni. Si tratta di una modalità di curare che riconosce nel disabile il diritto a sviluppare le sue abilità -quelle già presenti e visibili così come quelle residue e nascoste- per un incremento della sua qualità di vita. In tale modo, la cura si fa abilitante perchè dialoga tra l’effettività di ciò che si è e il margine di possibilità di trascendere la propria condizione a partire da essa . Tuttavia, affinché effettività e possibilità si manifestino, la cura abilitante deve riappropriarsi di quello sguardo che porta a incontrare davvero la persona e il suo mondo. Per notare cose già viste e ri-guardarle con occhi diversi è necessario uno sguardo che, invece di rimanere sulla soglia, cerchi non solo di entrare in profondità con un taglio “obliquo” per guardare la realtà dal lato di cui non siamo generalmente abituati, ma di afferrare ciò che svela anche con il sentire e con gli altri sensi, ricavandone una percezione più sottile e contemporaneamente più ampia della realtà. Quando il guardare si unisce al sentire, viene arricchito in profondità e ampliato di sfumature. In questo modo si intensifica la presenza al mondo e alle persone e, al tempo stesso, si alimenta la possibilità di entrare adeguandosi al profilo del reale, in quanto si attende il suo manifestarsi senza imporre una forma. Si tratta di condizioni imprescindibili per una cura che, nel volersi rivolgere alla persona, non la “cristallizza” all’interno di una idea ma costruisce progetti di vita autentica .
L’utilizzo che in Biodanza viene proposto del contatto e delle sensazioni tattili che ne derivano ha uno status privilegiato nel rinforzare la percezione di essere un corpo vivente, senziente e sensibile. Ciò significa uscire dalla concezione di un corpo-oggetto che può essere studiato e manipolato come semplice organismo inerte e aprirsi alla comprensione della persona nella sua struttura e radice prima di un soggetto-corpo. Fondare il sapere di cura all’interno di una tale visione è particolarmente rilevante in ogni ambito, ma diventa oltremodo importante nella disabilità in ordine alla dimensione identitaria e progettuale della persona: di fronte al dato biologico corporeo disfunzionale si coglie la possibilità di una esistenza e il diritto a un progetto di vita . Se, come insegnano la fenomenologia e le più attuali ricerche neuroscientifiche, il corpo “vivo” è il fondamento costitutivo di ogni altra percezione, l’esperienza soggettiva di toccare ed essere toccati con cura alimenta il desiderio di essere “collegati a qualcuno” e, pertanto, stimola la dimensione interpersonale e l’esperienza sociale . Condizioni che nel gruppo di Biodanza formato da disabili, educatori, operatori e volontari riescono a trovare corpo, consistenza, realtà. La possibilità, inoltre, di sperimentare interazioni in feedback attraverso modalità attente e sensibili quali lo scambio di abbracci e di carezze, pone il disabile in una condizione generalmente nuova: da soggetto fragile e assistito a persona attiva e interattiva nel dispensare azioni di cura. Questa situazione è foriera di relazioni educative e personali fondate sulla reciprocità, sul coinvolgimento attivo e sullo sviluppo delle capacità dei singoli. Anche per gli educatori, infatti, il coinvolgimento è più intenso nel momento in cui sono stimolati a ricercare modalità di comunicazione legate a un registro più affettivo. In questo modo vengono messi in gioco non solo nel proprio ruolo professionale ma anche come persone “in carne e ossa”. Ciò implica la disponibilità a lasciarsi trasformare dall’esperienza e ad accogliere ciò che viene vissuto invece di neutralizzarlo. In forza di questo, si crea una modalità di pratica che se, da una parte, espone, mette in gioco e trasforma l’educatore che accoglie, dall’altra, mira a una comprensione che, a sua volta, sarà ridotta o estesa a seconda proprio dell’intensità di questo accogliere. Un modo di agire e di comprendere, dunque, che, lungi dall’essere asettico e distaccato, prevede al suo interno un “costo” per chi lo attua: imparare l’arte di trasformarsi anche disfando le parti conosciute di sé, dei propri modi di pensare e di agire. Ciò significa tirarsi fuori da orizzonti precostituiti, da automatismi del pensiero e da codici di comportamento convenzionali o standardizzati per trovare una visione originale e un rapporto inedito con la realtà e con le persone che si incontrano. Da questo atteggiamento può nascere un rapporto educativo coevolutivo .
All’interno del progetto è stata realizzata una valutazione sia dei cambiamenti dei singoli partecipanti sia della loro interazione all’interno del gruppo e con gli educatori, attraverso l’osservazione diretta e il confronto delle videoriprese iniziali e finali. Per agevolare l’osservazione diretta era stata costruita dai conduttori una scheda che avrebbe dovuto essere compilata dagli educatori al termine della sessione ma che, all’atto pratico, non è mai stata utilizzata per mancanza di tempo. Gli incontri tra conduttori ed équipe del centro hanno permesso di individuare degli elementi che rendessero il metodo sintonico con alcune caratteristiche delle disabilità presenti nel gruppo. Questo ha consentito di individuare e stimolare in modo più efficace le potenzialità e le risorse dei partecipanti.
In tutti i disabili è stata osservata una armonizzazione dello stato d’animo e in molti una diminuzione dei comportamenti disfunzionali associati. Per esempio, durante le sessioni, un ragazzo ha diminuito progressivamente fino alla sparizione i suoi stati d’ansia che si manifestavano in comportamenti violenti come tirare i capelli e graffiare gli altri. Mentre una donna dagli atteggiamenti depressivi, a poco a poco, ha mantenuto la testa dritta e ha offerto lo sguardo agli altri. Inoltre, da manifestazioni di grande permalosità, ha rivelato una forte disposizione alla condivisione, offrendo spontaneamente saluti e carezze agli altri, compagni e operatori. Quasi tutti, poco per volta, hanno manifestato la loro identità con crescente determinazione e affettività entrando in centro nel cerchio. In particolare un ragazzo in sedia a rotelle, invitato come gli altri ad andare in centro a offrire il suo movimento, qualche volta si è mosso intensamente sulla sedia e non con essa testimoniando una autonomia motoria e una motivazione affettiva rare in quelle condizioni . Sviluppando modalità adatte alle estreme sensibilità di ogni partecipante, è stato possibile far partecipare ciascuno ogni volta un po’ di più alle proposte e a integrarsi nel gruppo. Una donna che all’inizio dell’attività restava fuori dalla sala, progressivamente si è avvicinata, prima entrando e restando seduta in poltrona, poi partecipando soprattutto nella seconda parte in cui le proposte includevano l’incontro, l’abbraccio e le carezze. È stata così scoperta la sua sensibilità oltre che il suo bisogno estremo di attaccamento affettivo. Una ragazza autistica è uscita più volte dal suo isolamento e spontaneamente ha guardato gli altri mentre danzavano. Ha rivolto lo sguardo anche ogni volta che è stata nominata ad alta voce durante la proposta di andare in centro a esprimere il proprio nome e là quando le veniva offerta una carezza delicata sulla testa, l’accettava serenamente. Altre volte ha segnalato e si è persino messa in piedi avvicinandosi da sola a un’operatrice per abbracciarla. Anche un altro ragazzo autistico è uscito qualche volta dal suo isolamento allontanandosi dal “suo angolo di sicurezza” per camminare nel gruppo. Anche se non ha mai partecipato spontaneamente alle proposte, è stato possibile coinvolgerlo alcune volte, come ad esempio in cerchio, nel trenino e nell’opposizione armonica. In questo ultimo caso è stato offerto al suo costante rifiuto un nuovo e positivo contesto in cui esprimerlo. Ha, inoltre, accettato serenamente di ricevere carezze delicate sulla schiena. Durante le ultime sessioni in cui ci sono state le video-riprese si è allontanato più volte dal suo angolo per mettersi davanti alla videocamera, manifestando divertimento a mostrarsi. Alcune rare volte si è posto di sua iniziativa nel centro del cerchio mantenendo per tutta la musica una connessione di sguardo con uno degli educatori. Una donna con la tendenza a intervenire continuamente con la parola, a poco a poco ha partecipato con modi meno invasivi e più rispettosi del gruppo. I suoi cambiamenti positivi sono stati messi in relazione con le proposte di contatto per la sua frequente richiesta di coccole e la sua crescente disponibilità alle carezze. Sono stati, inoltre, riscontrati miglioramenti a livello motorio e della capacità di attenzione. Un ragazzo con discreta capacità nei movimenti e scarso equilibrio, col tempo è riuscito abbastanza bene in diverse proposte che richiedevano capacità ritmica, di equilibrio dinamico (spostamento nello spazio) e di concentrazione (scambio di carezze). Era in grado anche di eseguire movimenti rallentati quando uno dei conduttori o degli operatori si poneva di fronte a lui e lo stimolava realizzando quegli stessi movimenti. Riguardo alla sua voglia di comunicare e alla sua limitatezza, è stato osservato che in Biodanza ha colto e utilizzato spontaneamente occasioni e modalità per comunicare con gli altri. Gli apprezzamenti degli incontri venivano direttamente riportati dalle persone con minore compromissione. Una ragazza con la sindrome di Down, più volte ha riferito che le era piaciuta la sessione perchè l’aveva aiutata a trasformare la sua chiusura iniziale, percepita a livello del petto, in una apertura o perché le era sparito il mal di testa. Altre volte in cui era stata assente diceva che le era mancata la Biodanza. Gli altri che non potevano esprimersi verbalmente, hanno manifestato con sorrisi, sguardi e vocalizzazioni il piacere nelle danze che stavano realizzando e negli scambi di contatti.
I risultati positivi dell’intervento sono stati testimoniati anche dagli educatori durante le riunioni di equipe. Essi hanno riferito come sia stata grandemente agevolata la loro possibilità non solo di entrare in una relazione più significativa con i ragazzi, ma anche di ricercare maggiore confidenza nel contatto fisico soprattutto con chi generalmente non si ha molta sintonia. È stato percepito come il lavoro proposto abbia reso il gruppo più compatto e fonte di gioia, facendo sentire a tutti il piacere di stare insieme. Questo ha fatto sì che l’attenzione si spostasse dal bisogno alla potenzialità e si percepissero maggiormente la gradualità del processo e i piccoli miglioramenti di ciascuno. Inoltre, gli equilibri che normalmente sono presenti nel gruppo, con Biodanza venivano scardinati: questo consentiva alle persone che generalmente si impongono di imparare a mettersi da parte e a chi è succube di prendersi un proprio spazio di espressione. È stato riscontrato come il grado di partecipazione si sia evoluto in modo progressivo in tutti e anche in chi sembrava non partecipasse attivamente durante la sessione, in realtà, venivano osservati effetti positivi.
L’esperienza maturata dai dodici ospiti del servizio, dai cinque operatori (educatori professionali e ASA), dalle volontarie e dai due conduttori e le riflessioni scaturite in itinere durante gli incontri del “gruppo di lavoro” hanno permesso di fare emergere alcune caratteristiche comuni tra due approcci che si fondano sul concetto di persona intesa come sistema complesso, fatto di razionalità, emotività, corporeità, socialità: Biodanza e Metodo Biosistemico. Tra i punti comuni troviamo la grande importanza data al vivere l’esperienza, alla pratica, alle sperimentazioni dirette; la valenza formativa del gruppo fonte di ricchezza, contenitore di emozioni profonde, nel quale è possibile sentire l’appoggio e il sostegno degli altri - anche attraverso il contatto corporeo – per sviluppare il sentimento di fiducia e interiorizzare vissuti di riparazione. L’esperienza della relazione sviluppata attraverso la biodanza, inoltre, ha permesso di sperimentare ciò che in biosistemica viene definita empatia corporea, ovvero la capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d'animo, non solo a livello cognitivo, creandoci spontaneamente un'immagine che rappresenta ciò che l’altro ci racconta, ma anche emotivo e corporeo, rispecchiando la postura, l'espressione non verbale, il tono e il ritmo di voce dell'altro. In questo modo è stato consolidato ed ampliato il bagaglio di risorse a cui ogni operatore attinge nella pratica quotidiana della propria funzione e che spesso lo porta a sentire il bisogno di rigenerarsi. Per meglio comprendere cosa succede a livello di comunicazione corporea tra due persone, a qualunque età e livello di sviluppo ed interiorizzare l’importanza di questa esperienza è opportuno evidenziare che in biosistemica, essere in empatia non è tanto uno stato fissato una volta per tutte, quanto un continuo processo fatto di una serie di tentativi, errori e correzioni di rotta che dimostrano come essa sia una continua e mai finita attività.
Attivare un corso di Biodanza con disabili non significa tanto proporre un progetto semplicemente ricreativo, quanto offrire la possibilità di stimolare le risorse insite in ogni persona affinché ciascuno senta di essere unico e, al tempo stesso, in connessione con gli altri. La proposta di Biodanza, infatti, possiede questa duplice valenza: rafforzare le individualità, valorizzando le differenze e, allo stesso tempo, fortificare il senso di appartenenza ripristinando la capacità di formare legami con gli altri membri del gruppo in cui è fondamentale percepire le somiglianze. La proposta di Biodanza si struttura come un ottimo strumento educativo capace di offrire possibilità espressive della propria interiorità anche a chi ha grosse difficoltà motorie e di comunicazione poiché restituisce linguaggio all’alfabeto del corpo attraverso canali innati quali l’espressione naturale e spontanea del corpo, del volto e della voce, il contatto, la carezza e l’abbraccio. A livello metodologico, inoltre, l’attuazione di stimoli graduali ripetuti con qualità emozionale ha permesso ancor di più di incoraggiare la partecipazione dei ragazzi e favorire in loro l’apprendimento di nuovi movimenti e di nuove tendenze comportamentali. In questo modo, la Biodanza diventa un bagaglio personale con funzioni di sviluppo delle risorse, d’integrazione di gruppo, di cura. A queste persone con qualche disabilità che frequentemente soffrono, oltre che per la loro condizione di nascita o accidentale, anche per la mancanza di stimolazioni adeguate adatte allo sviluppo delle loro potenzialità, la Biodanza si propone di offrire delle opportunità perché possano manifestare i loro semi di allegria, di piacere, di curiosità e inventiva, di tenerezza e intimità, e di armonia: obbiettivi che risultano alla portata di tutti.
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Per maggiori informazioni: Associazione Biodanza Brescia
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