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La mia esperienza di biodanza presso le strutture residenziali per anziani

La mia esperienza di biodanza presso le strutture residenziali per anziani

Di Rossella Frozza, Operatrice titolare didatta

Quando entro nella sala ci sono loro, gli ospiti della struttura. Ospiti, come sono chiamati ormai dappertutto. Non mi piace questo termine, è impersonale, marca il fatto che sono persone “di passaggio”. La parola anziano, o peggio vecchio, fa paura. Siccome non trasferisce più la propria esperienza a beneficio della comunità, l’anziano è diventato una persona inutile, bisognosa di assistenza e cure. Questo ci spaventa. Ci ricorda che, prima o poi, anche noi subiremo la stessa decadenza.

Io preferisco chiamarli “i miei anzianini” o “nonnetti” perché mi fanno tenerezza e mi ricordano i miei nonni. Appena arrivo, insieme all’animatrice Lina o Alessandra, salutiamo con un bel buongiorno: c’è chi guarda la televisione, chi se ne sta in un angolo con lo sguardo fisso nel vuoto, alcuni si fanno compagnia a piccoli gruppi, altri chiedono qualcosa alle operatrici.
Noi arriviamo con il fiato corto, portandoci dietro i gesti accelerati della vita fuori dalla residenza, ma dopo poco ci adattiamo al tempo rallentato che si respira qui dentro. Cominciamo a prepararci per fare un cerchio insieme e già questa apparentemente semplice operazione non è immediata: la maggioranza non si può spostare autonomamente, alcuni desiderano terminare quello che stavano facendo, altri sono ancora nelle camere. Le animatrici sono bravissime, con il sorriso e l’amorevolezza dei modi, a coinvolgere le persone e a rendere fluido e piacevole anche questo momento.

La proposta di Biodanza ci invita a riscoprire la bellezza dei piccoli gesti che qualificano l’altro e gli restituiscono il valore della sua, e della nostra, identità. Inizio quindi a fare quello che è diventato per me quasi un rituale: saluto uno ad uno con un piccolo tocco, una carezza sulla spalla o sulla mano, ed i nostri occhi si incontrano. Alcuni si ricordano di me e mi domandano come sto, sono contenti di ballare di nuovo insieme, altri mi chiedono per l’ennesima volta chi sono e da dove vengo.

Metto la musica e li sprono a prendersi per mano. Ognuno come può. C’è chi si alza e chi rimane sulla sedia a rotelle, ma alla fine tutti insieme incominciamo a ballare. I piedi sono incerti, le spalle ricurve, le mani contratte, i movimenti tremolanti ma piano piano il ritmo entra nel corpo e si spalancano i sorrisi, gli occhi diventano più luminosi e colorati, è iniziato l’effetto positivo della biodanza.
Anche chi non si ricordava di me, appena sente la musica inizia a fare gli esercizi. Il corpo non dimentica e anche chi non ha voluto fare la lezione muove il piede da lontano al ritmo delle note o batte le mani divertito. Metto una musica popolare che ricorda loro la gioventù e tutti la cantano, anzi c’è chi asserisce che il ritornello non è giusto. I canti a volte cambiano da zona a zona, ma anche chi non voleva ballare ora fa parte del cerchio.

Dopo aver messo un po’ di musiche ritmiche ed allegre è arrivato il momento di rallentare. La mia voce si abbassa, il respiro si fa più lento e profondo, le braccia si muovono in modo armonico durante la proposta della fluidità. Anche Lina inizia a rilassarsi e a sbadigliare, la sua giornata di mamma di tre figli e donna lavoratrice si fa sentire. Anch’io sbadiglio, gli occhi si inumidiscono; i “nonnetti” difficilmente li chiudono, quasi avessero paura di farlo, ciononostante quasi tutti riescono ad abbandonarsi con fiducia.

È giunto il momento di terminare la sessione: la proposta di Biodanza segue le risposte fisiologiche dei partecipanti; se continuassi, si stancherebbero. Ci riattiviamo piano piano per concludere con una ronda (cerchio o girotondo, in spagnolo. In Biodanza indica l’esercizio di danzare in cerchio, muovendosi verso destra, al ritmo della musica) di celebrazione dove cantiamo tutti insieme. Anche oggi è avvenuto un piccolo miracolo, è la Vita che ci ricorda l’importanza e la bellezza dell’istante vissuto insieme.

Trattengo a stento le lacrime nel vedere come sono cambiati i loro volti dall’inizio della lezione. Ho superato anch’io le mie difficoltà, sono andata oltre a quei corpi sofferenti, agli sguardi tristi e malinconici; ho ricontattato la tenerezza nel donare sorrisi e amorevolezza anche a chi è scortese (a volte succede) però ho ricevuto molto in cambio.

Non vorrei andare via ma devo iniziare a salutare, ci aspettano gli “anzianini” dell’altro piano. Con ognuno scambio una parola, mi abbasso per far sì che i nostri sguardi si incontrino nuovamente per rinnovare l’invito alla prossima lezione. Mi riempiono di complimenti: “come sei bella! Sei sposata?”, “doveva vedere come ballavo da ragazza alle feste!”, “ma dov’è suo marito?” ed io “non è mio marito è il mio collega che oggi non c’è!”, “ma è così bello! È proprio un bell’uomo!”, “quando ritorni?”.
Rispondo che ci rivedremo presto, molto presto, e piano piano mi avvio all’uscita ricordando a me stessa di quanto sono fortunata ad aver incontrato la Biodanza nel mio cammino.



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