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Superare la conflittualità nei processi di riorganizzazione aziendale: il caso della ASL di Firenze

Superare la conflittualità nei processi di riorganizzazione aziendale: il caso della ASL di Firenze

 

Silvia Latini, direttrice del Servizio Infermieristico dell’ospedale “San Giovanni di Dio” dell’ASL di Firenze.

Nel 2007 è iniziato negli ospedali dell’Azienda Sanitaria di Firenze, il processo di riorganizzazione delle linee di degenza, non più divise per specialistica ma per intensità di cura: i pazienti vengono ricoverati in reparti in base ai loro bisogno assistenziali e clinici e non più in base alla tipologia di malattia. Questo ha sovvertito l’ organizzazione dei reparti, infatti ha assunto un ruolo fondamentale il coordinatore infermieristico, diventato manager delle risorse materiali e umane, a partire dalla gestione dei posti letto. Oltre alle difficoltà insite nel cambiamento, si sono dovute affrontare anche quelle legate al cambiamento delle relazioni, dovuto alla variazione dei rapporti di potere nell’organizzazione del lavoro.

La difficoltà relazionale andava ad incidere sull’assistenza e sui risultati ottenuti; la mancanza di un nuovo assetto relazionale che sorreggesse il cambiamento, aveva fatto perdere agli operatori i punti di riferimento, la conflittualità era aumentata e l’attenzione era indirizzata più sulle difficoltà del clima interno che sulla relazione con i pazienti.

La figura professionale che più risentiva di questa situazione era quella del coordinatore infermieristico, che aveva sorretto il cambiamento dal punto di vista organizzativo ma non dal punto di vista relazionale, non avendo gli strumenti per poterlo agire.
Queste le motivazioni che mi hanno fatto decidere, in qualità di direttore del servizio infermieristico dell’ospedale “San Giovanni di Dio” dell’Azienda Sanitaria di Firenze, di includere nelle riunioni di aggiornamento annuali, un corso sulla comunicazione basato sulla Biodanza.

Il corso si è svolto in quattro giornate: due giornate a giugno (6-7 giugno 2012) con ventidue coordinatori e due giornate a novembre (29-30 novembre 2012) con quindici coordinatori, quasi tutti presenti anche a giugno; è stato accreditato ECM e le spese sono state sostenute dai partecipanti, in quanto tutti i corsi aziendali devono essere isorisorse.

Nel periodo fra le due edizioni (appunto tra fra giugno e novembre 2012), i vertici dell’Azienda cambiarono e la nuova Direzione aveva una filosofia gestionale molto diversa dalla precedente, e soprattutto la crisi economica imponeva di risparmiare su tutti i fronti.
A novembre il mandato aziendale fu quello di recuperare personale da diversi reparti per poterne aprire due nuovi; la conseguenza è stata l’inasprimento dei rapporti fra i coordinatori e la Direzione infermieristica. Furono mesi abbastanza difficili anche se gli obiettivi furono raggiunti, i nuovi reparti aperti, il personale redistribuito con diminuzione dello stesso in altri reparti, il tutto a discapito delle relazioni... Ancora non eravamo in grado di reggere un cambiamento del genere come gruppo! Nonostante tutto, le persone hanno partecipato molto volentieri alla seconda edizione del corso, e questo è dimostrato dai risultati ottenuti dalle risposte ad un questionario consegnato dopo cinque mesi dal termine del corso (già analizzato nel dettaglio nella Parte prima di questa comunicazione: “Risultati”).

Il questionario era composto da ventidue domande a risposta multipla: le risposte dei quindici coordinatori che hanno partecipato all’edizione di novembre hanno mostrato i seguenti risultati:

  • maggior coerenza tra linguaggio verbale e non verbale;

  • maggior capacità di dare sostegno emotivo;

  • aumento della motivazione del gruppo;

  • maggiore capacità di assunzione della leadership.

[...]

Il racconto

Angelo Palfrader, operatore di Biodanza e conduttore del progetto

Al corso di giugno 2012 mi sono trovato di fronte ad un gruppo di ventidue coordinatori infermieristici coeso e cosciente dell’importante ruolo che esso ha all’interno dell’organizzazione ospedaliera.
Si evidenziava una forte motivazione a migliorare le proprie capacità manageriali e relazionali; il gruppo manifestava una forte identificazione con l’azienda.

Le quattro vivencie (i.e. sessioni di Biodanza) proposte nelle due giornate sono fluite con grande intensità. L’obiettivo vivenciale del primo giorno è stato quello di integrare il gruppo e di rafforzare l’identità dei partecipanti aprendo lo spazio esistenziale, ed integrando la capacità a porre limiti e di dire “no”.
Saper porre limiti e dire “no”, prima che il disagio “rompa i ponti”, è un’attitudine difficile da assumere per molte persone, in modo particolare per chi fa una professione di cura ed aiuto come gli infermieri. Su questa base di stabilità e rafforzamento dell’identità è stato possibile proporre un’apertura di tipo affettivo e “trascendente”.

Durante la prima vivencia del secondo giorno, una partecipante è scoppiata in un pianto profondo ed intenso e, seguendo il modello culturale interiorizzato, si stava allontanando dal gruppo per vivere questo momento di “debolezza” in disparte.
Con fermezza e dolcezza l’ho riportata nel cerchio dei partecipanti e lei si è permessa di entrare in questo pianto esprimendo tutto il suo dolore. Applicando la metodologia di Biodanza, con degli scambi di abbracci al centro, avvolti dall’affetto di tutto il gruppo ed un susseguirsi di musiche armoniose, in una decina di minuti il pianto si è alleggerito e spento per far comparire sul suo volto un’espressione di gratitudine e pace.

Questa esperienza è stata rilevante per evidenziare come infermieri, medici ed altre figure sanitarie, facciano fatica ad esprimere e condividere la sofferenza ma anche come il pianto sia un’esperienza che ci collega in modo forte ai sentimenti e all’umanità dei nostri assistiti. Si è evidenziato come sia possibile far emergere un modello assistenziale differente dove la “vita”, con i suoi processi di nascita, malattia e morte possa essere al centro dell’intervento e dove i professionisti della salute accompagnino questo mistero con rispetto e presenza includendo la propria umanità.

Fino ad una settimana prima della data stabilita del 6 novembre 2012 non avevo ancora conferma che il corso venisse realmente fatto. Silvia [Latini] mi aveva comunicato che il clima aziendale era profondamente cambiato e che a causa delle manovre di razionalizzazione legate alla “spending review” erano sorte molte difficoltà. Il tema della “valutazione del personale” che avevamo concordato a giugno non era più attuale!

Quando finalmente ho avuto conferma dello svolgimento del corso, mi sono accinto a condurlo con l’atteggiamento di dire che partendo dalla situazione che avrei trovato avrei sviluppato i contenuti teorici e le vivencie.
Il gruppo si è presentato in numero ridotto rispetto al giugno precedente (quindici coordinatori): si percepiva meno coesione ed era svanita la forte identificazione con l’azienda sanitaria e con la Direzione infermieristica percepita nella prima esperienza.

Ho iniziato il corso con un lavoro in piccoli gruppi dove ognuno raccontava agli altri le difficoltà dovute ai cambiamenti imposti dalla “spending review” che viveva. I disagi maggiori che sono emersi erano l’aumento della conflittualità vissuta con i medici, quelli di riuscire a coprire i turni per mantenere il servizio, quelli relativi agli ordini contradditori che arrivavano dall’alto ed infine la difficoltà di mantenere una comunicazione coerente ed aperta con gli infermieri.

Al termine del primo giorno abbiamo dato questo titolo al corso di formazione: “La Biodanza per non morire di spending review”.
Durante la prima vivencia di integrazione del gruppo è ri-emersa nei partecipanti la potenza della vivencia di Biodanza, esperienza quasi dimenticata nei cinque mesi passati: un po’ per volta è nuovamente emersa la coesione all’interno del gruppo.

Il secondo giorno ci siamo confrontati su quali fossero i valori ai quali i partecipanti non volevano e potevano rinunciare per rimanere fedeli alla propria professionalità e missione.
Le parole chiave emerse con più frequenza erano: il rispetto, il comunicare in modo coerente, l’empatia, il prendersi cura e l’equità.

Nella vivencia conclusiva ho proposto come esercizio-chiave la “danza del mandala”. Dopo aver integrato ed espresso in una danza singola il rispetto, l’empatia, il prendersi cura e l’equità i partecipanti si sono posizionati uno per ciascun angolo della sala creando la cornice che ha permesso al gruppo di “danzare” la comunicazione coerente e rispettosa.

Al termine delle due giornate di lavoro il livello d’integrazione di ognuno con se stesso, con il gruppo e con la vita era molto elevato.


Le testimonianze

Le condivisioni che seguono danno una fotografia dell’esperienza vissuta dai partecipanti (nella trascrizione è stata mantenuta la spontaneità del parlato di ognuno):

“Di solito mi apro a questi eventi sempre molto scettico, con un filo di resistenza; devo dire che sono rimasto piacevolmente colpito da come si sono svolti, dalle cose che riceviamo. Quindi, forse, sono meno rigido e meno restio di quanto non mi voglia raccontare da solo, visto e considerato che alla fine mi ci trovo sempre bene e alla fine ricevo tantissimo da tutti voi. Abbiamo a paragone anche una precedente esperienza: io oggi porto a casa di più della volta precedente, nonostante sia stato più circoscritto in termini temporali, perché è durato per me meno che per voi e, nonostante sia durato meno, porto via di più! Quindi il mio giudizio su questo percorso che abbiamo fatto insieme è doppiamente positivo; mi sento di potervi ringraziare perché ho ricevuto molto da tutti voi e ... Basta, non dico altro, sento davvero di avervi dato molto”.

“Penso che siano cose veramente positive, mi sento libero di stare con i colleghi, che a quel punto non sono più solo colleghi ma possono essere anche amici”.

Angelo Palfrader “Magari aggiungo questo: io non ho ben presente le aspettative che avevate ... A me piacerebbe anche se in questa vostra valutazione, in questo vostro giudizio, al di là del personale, delle emozioni e delle cose che direte (che sono le più importanti) in qualche modo io possa avere un feedback su quanto è stato un corso di aggiornamento: per esempio più o meno utile...”.

“Io parto dall’esperienza personale: quando ci siamo messi sdraiati dopo l’esercizio io non mi volevo alzare, perché provavo una sensazione di tale benessere che difficilmente si prova. Ho sentito ... son riuscito a percepire una serie di parti sia del corpo che anche di modi nei quali mi sono rapportato e mi rapporto normalmente sul lavoro ma anche da un punto di vista personale. L’esperienza della danza di “opposizione” è stata illuminante, perché ho capito che ci si può opporre con fermezza senza distruggere niente e che quando senti che l’altro sta cedendo, puoi cedere anche te; non necessariamente bisogna essere rigidi, duri fino in fondo. Mi sono approcciato a questa esperienza come ad un’opportunità; non sapevo niente di Biodanza e devo dire che non avevo aspettative, però sono venuto con la mente ed anche con il cuore aperto. È un’occasione senz’altro per conoscersi e per condividere molto di più di quello che si condivide normalmente tutti i giorni. In certi momenti ho sentito ... è una sensazione mia, in certi momenti ho sentito che eravamo in cerchio ed avevamo dentro una forza, un’energia che, cavolo ragazzi! dobbiamo essere consapevoli che ce la possiamo avere! che ce la possiamo fare e che magari, nei momenti di difficoltà che ognuno poi si trova a vivere nella realtà professionale, ma anche sul piano personale, perché i piani si mescolano, però dal punto di vista professionale io ho questa consapevolezza, che siamo una forza, che siamo un cerchio, che ci attaccano, sì va beh, però sappiamo resistere. E di questi tempi credo che non sia poco! E poi questa cosa dell’energia, ragazzi, io non so che cosa è successo, ma io sento l’energia che va, che esce, che si diffonde, che fa bene ... che non fa male. Poi credo anche che, così chiacchierando con Angelo ed altri a tavola son discorsi che son venuti fuori), forse da un punto di vista proprio strutturale, si dovrebbe trovare il verso di diffonderlo, perché, ripeto, fa bene. Soprattutto per noi che lavoriamo con la persona, con i problemi, con la sofferenza, con il dolore, l’importanza della trasmissione di energia positiva, semplicemente toccando, accarezzando, forse questo è un aspetto sul quale ultimamente non abbiamo fatto una grossa riflessione. Non so quanto i giovani neolaureati abbiano questa capacità, anche perché, forse, sono distolti da altre figure che toccano. L’infermiere ora tocca poco [il paziente], tocca meno, forse ha paura di toccare, sempre più paura. Noi ce l’avevamo [questa attitudine a toccare] perché eravamo lì, freschi freschi, non sapevamo che fare, dovevamo impadronirci della tecnica. Abbiamo recuperato dopo il toccare, la sua importanza, ma in maniera molto spontanea”.

“Anche io volevo dire questa cosa; tu ci hai chiesto se è stato utile; per me è stato utile, hai ribadito dei concetti, ieri abbiamo parlato di cose che io, ma penso anche gli altri, conoscono ma che delle volte si mettono un po’ in un angolino, e allora è bene tirarle fuori. Per esempio il fatto che comunque ognuno ha il diritto di essere quello che è, di mostrarlo, che non c’è bisogno della forza e della rabbia per dimostrare niente. Penso che queste cose si sanno, però delle volte ce ne scordiamo, siamo presi da altre cose; questi concetti sono stati importanti, una volta tirati fuori. L’altra cosa che mi è piaciuta è stato il ribadire il concetto del toccare, dell’ascolto anche senza parole, del tatto che serve molto nella nostra professione. Dovevamo fare un percorso, l’organizzazione doveva fare un percorso, ma bisogna recuperare qualcosa in questo senso. E l’ultima cosa è quello che secondo me è servita molto, è quello che diceva Silvia: noi eravamo un gruppo, forse per lei era importante sentire che ne era entrata a far parte; forse per noi è stato importante riconsolidarlo e dircelo di nuovo che siamo un gruppo”.

“Rispetto a questo, io stamane ho pianto, mi sono commossa moltissimo per tutto il tempo e sentivo anche altri che erano abbastanza commossi; è stata una mattinata tosta, è stata tanta roba. La libertà ... in fondo davvero io sono nuova in questo gruppo perché sono pochi mesi che sono arrivata, ma non ho avuto assolutamente problemi a lasciar andare. Devo dire che ho anche imparato, facendo Biodanza, a lasciar andare, molto più di prima. Però il ruolo è quello che è; questo è un gruppo nuovo; ci poteva essere anche il timore del giudizio, in qualche modo. Mi rendo conto che è un timore molto razionale; me ne sono accorta dopo. Durante, non mi ha assolutamente sfiorata questa cosa, mi sono lasciata andare e non c’era giudizio, c’era l’accettazione di tutto questo e se l’avete fatto con me l’avete con tutti; e questo credo che sia una cosa di una potenza incredibile. Perché è un gruppo lavorativo, non ci siamo scelti, ci siamo trovati, la possibilità di dire “non ce la faccio”, la possibilità di farlo in un gruppo lavorativo credo che sia di una potenza, come diceva R, credo che sia tanta roba, ma proprio tanta tanta roba. La possibilità di poter dire “OK, mi lascio andare, so che comunque mi contengono”. E il fatto che non c’è, o non si sente, il giudizio degli altri, oppure la possibilità di dire sono in difficoltà, oppure non ci arrivo, non sono performante al 100%, ma tanto gli altri mi vogliono bene lo stesso!”.

“Posso dire qualcosa anch’io? Allora, io non che cosa mi faccia bene, onestamente e quindi rimetto in discussione i cinque anni passati con M [precedente dirigente infermieristica] e i primi sei mesi con Silvia [attuale dirigente infermieristica]. Io non che cosa mi faccia bene: una cosa è certa: mi apro a queste esperienze perché dico: “Proviamo anche questa, tutt’al più si starà a vedere; al limite dico non mi piace e la prossima volta non ci ritorno; per lo meno però mi son data questa scelta”. Una cosa è certa: in questi cinque anni, tutti i cambiamenti che sono stati fatti, tutte le iniziative che sono state fatte, e ci metto anche lo yoga della risata, sicuramente hanno fatto bene. Se faccia bene questa, o quella, o tutto questo insieme, non lo so. Io mi trovo cambiata, mi trovo cambiata, boh, penso in bene. Mi trovo tutte le volte cresciuta, con la possibilità di parlare di più. Io mi ricordo che stavo zitta. Mai e poi mai mi sarei messa a dire la mia. Ora mi apro e parlo tranquillamente; loro possono dire quello che vogliono ma io ho detto la mia; che gli vada bene o che non gli vada bene, però ho detto la mia! Quindi ben venga lo yoga oppure questo metodo ... io ci sono!”.

“Io penso come D, che questa esperienza mi ha dato molto di più dello yoga, ma non perché ora lo yoga non c’è più. Ha toccato delle mie corde ... la Silvia non mi conosce, però sapeva bene che non volevo partecipare. Di solito sono poco aperta a queste cose, ma né Yoga né Pilates ... Qui con voi, ma non solo con i miei colleghi che ormai mi conoscono, che sanno che è un momento difficile e mi stanno più vicini ed è stata l’occasione per avere tutto il loro affetto, ma anche con loro, che non conosco, G, anche voi, mi avete dato tantissimo, tanto affetto, anche da persone che magari non mi vogliono poi così bene ... Ma oggi mi avete voluto bene, sento di voler bene a tutti. Davvero, grazie a tutti!”.

“Io vorrei dire una cosa. In genere vengo molto fiduciosa di queste cose, perché mi attraggono, mi interessano e mi ci butto con aspettative che in genere trovo soddisfatte. Io sono cresciuta in questo gruppo, perché ero infermiera, poi ho fatto la mamma, poi ho “fatto finta” di far la caposala, poi son diventata caposala per davvero, poi mi son ritrovata in Direzione infermieristica. Il mio percorso professionale è sempre stato solo qui; e questo è sempre stato il mio gruppo. Io è dal 2005 che frequento questo gruppo di coordinatori. Mi viene un dubbio: ma se per qualche motivo uno si dovesse spostare da questo gruppo e da solo ritrovarsi in un gruppo completamente diverso di persone che non hanno nemmeno idea di che cosa sia un gruppo ... a me mi si piglia male! È una riflessione che ho fatto, non è la prima volta che la faccio, ma mi sembra proprio il momento di esprimerla. Io veramente sarei in difficoltà: io sono una persona che si integra, non sono timida; però avrei difficoltà grosse ad inserirmi in un gruppo di coordinatori che non siate voi. Io veramente credo che sia l’unico e solo difetto di questo gruppo. Siamo veramente una forza: ma se uno di noi ... immaginassi a Careggi [altro ospedale]: a me mi piglia male! Io non se voi ci avete mai posto l’attenzione. Non solo il dispiacere personale, anche in maniera professionale, perché il nostro lavoro risente tanto di questa atmosfera, risente tanto di questo legame, di questa rete che ci tiene tutti saldi. E il nostro lavoro, il mio sicuramente, ne risente tanto di questa complicità che c’è singolarmente tra me e ognuno di voi; proprio singolarmente, il rapporto per esempio che io ho con la B che non è quello con la D. Però è un rapporto particolare, unico, che io non so se riuscirei a ristabilire in un altro gruppo”.

“Noi facciamo parte di un altro gruppo, ma per me il gruppo è questo, il nostro. Anche noi abbiamo iniziato a fare questi gruppi di lavoro, ma non è quello il nostro gruppo: il nostro gruppo è questo. Questo gruppo ha accolto noi, figuriamoci, ad esempio lei, se non rimane in questo gruppo!”.

“Non so se sei stato te, Angelo, o è stata la Biodanza, ma con tutte le esperienze che ho fatto, questa volta però, ti dico la verità, mi sono venute delle emozioni qui ... che ... non so neanch’io come dire. E sei riuscito a farmi sentire i miei colleghi molto più vicini di quello che non li sentivo prima. Non so, io mi son lasciato trascinare veramente da questa cosa qui; nel senso che mi son lasciato prendere fino in fondo e ho sentito molto più vicino i miei colleghi e la loro energia positiva nei miei confronti. Non so se è stata una sensazione ... ho sognato ... non lo so, però ... poi mi son lasciato anche prendere dai miei ricordi, da un po’ di malinconia. Alcune cose mi fanno sentire delle emozioni un pochino negative; però il sorriso e lo sguardo degli altri, in questo senso qui mi hanno aiutato molto, mi son sentito sostenuto, mi son sentito bene, ti dico la verità. E come dice R l’energia di uno più uno più uno non fa il numero delle persone ma fa qualcosa che non si può quantificare in un numero o in una misura o in un peso. E questo, forse, è la forza del gruppo, che non è il numero, ma è la forza che ognuno esprime ... insomma, sei stato bravo te e la Biodanza”.

“Vorrei dire una cosa. Io, Silvia lo sa gliel’ho detto già prima di iniziare, sono un tipo, non timida, però mi imbarazzo a stare al centro dell’attenzione, non riesco a rilassarmi. È un mio difetto, io non ce la fo. Faccio una parentesi: sono andata a fare un massaggio rilassante in una beauty farm, luci soffuse, candele, musichina ... e qui non sono riuscita, infatti prima con le mani ... mi veniva da ridere ... però devo dire che anch’io ero molto scettica, come tanti, invece questo corso mi è piaciuto tantissimo. Peccato che abito distante, non so se c’è un gruppo di Biodanza là e già faccio fatica a venire a Torregalli, però ho avuto delle emozioni forti, infatti ho anche pianto in più occasioni. E ho sentito che effettivamente forse mi potrebbe aiutare per modificarmi, perché io non ho mai fatto un corso per tirar fuori tutte queste emozioni. Ho praticato anche per un periodo i buddisti ... la forza che c’è in te, Buddha sei te ... Non so, sono tutte esperienze. La sessione del pomeriggio già mi mette ansia ... Il gruppo, loro, li conosco tutti però per me è la prima volta che io partecipo con loro così intimamente, perché non mi era mai successo. Per me è stata una bellissima esperienza”.

“Io con Biodanza non avevo mai avuto nessun tipo di contatto; su altre cose sì, ho fatto un corso di Bioenergetica per quattro anni; quindi l’ho trovata un misto di Bioenergetica e Tai Chi. Ed erano anni che non facevo più niente da questo punto di vista, se non per conto mio. Per cui per me è stato un ritrovarmi in qualche modo e riscoprire ... in realtà so già quali sono i miei punti deboli ... però in maniera molto più forte ... nel senso che ... la responsabilità, ad un certo punto ho trovato lo sguardo di Silvia e questo mi ha fatto molto piacere, perché vuol dire che comunque, anche se abbiamo avuto pochi contatti, c’è stato qualcosa di scambio, comunque, e di capire ... Io ho un senso di responsabilità che è una cosa bestiale! Da quando ero infante. E quindi mi sento sempre coinvolta e poi mi ritrovo sempre comunque, non so perché, un po’ dappertutto mi si richiede. Io vorrei sempre fare ... accontentare ... finché io divento una bestia, perché di carattere sono una molto irruenta. Però, se lo sono, approfitto di questo momento per chiedere scusa perché a volte sono molto irruenta: questa è la mia sensazione, io mi sento così. Però sono una persona anche estremamente spontanea, che dice sempre tutto a tutti. A volte se sono in riunione, mi stupisco e mi piaccio anche, perché riesco a mantenere il controllo e la calma e ad arrivare dove uno vuole arrivare. Però ho dei momenti di estrema ... Ad esempio con la L tempo fa ... mi è dispiaciuto molto, insomma, e poi lei è stata anche male, lo ha anche detto; ed io più male forse di lei. Il mio è sentirmi il carico e la responsabilità di far bene determinate cose per gli altri. Il mio sentire anche di fare questo mestiere, questo lavoro fin dai tempi, così nell’infermieristica; per me è anche se vado a fare l’esperienza di cameriera, anche se faccio la cameriera, sono precisa, organizzo, voglio che gli altri stiano bene, però questo mi porta ad essere troppo, troppo me stessa, e quindi questa è un’occasione per chiedere scusa. Io amo questo gruppo fortemente, singolarmente, proprio tutti. Io non so perché sono così ... anche all’ospedale io ci sono attaccatissima, affezionatissima. Posso riconoscere i lati positivi, negativi, però non è un giudizio, è perché conosci, come diceva G. prima. Abbiamo tante potenzialità, fuori anche da questo gruppo, e forse bisogna tirarle fuori maggiormente. Io lo sento questo amore. Quando si dice “mi sento stretta in un gruppo”... sì è vero che a volte è difficile stare insieme, relazionarsi, però di base, a me piacciono tutti. Io la sento questa cosa, a prescindere poi da come sono le dinamiche di lavoro. La cosa che io ho riscoperto, e ci tenevo a dirlo, è quando ero già caposala, sono sempre stata vicina ai morenti, anche fuori dall’ospedale, ed un giorno, nella fretta, perché dovevo fare altre cose, non ho colto e non ho ascoltato che la persona stava morendo; però io avevo fretta, dovevo fare un’altra cosa. Quando la signora è morta mi sono detta che mai più nella mia vita per la fretta non mi sarei fermata là dove io sento, perché lo sento, che la persona ha bisogno di me. Questo me l’ha ricordato e ho sentito che sono andata troppo in fretta, mi sto perdendo determinate cose, sia fuori che dentro l’ospedale; e quindi è più che positiva questa cosa, perché ho detto “Cavolo” ed avevo anche bisogno di essere appoggiata. Nel momento in cui eravamo a terra, perché io tendo ad andare là dove qualcuno sta male, però mi son detta: “Io ho bisogno, ho chiesto e mi è stato dato”. Quindi grazie comunque a tutti perché ho sentito questo senso di protezione, ancora grazie. Io sono un tipo anche molto corporeo, io abbraccio. Quello che io sento è che deve andar fuori da questo gruppo; noi dobbiamo dare un messaggio a chi abbiamo dietro come gruppo; io lo sento che questa cosa la dobbiamo fare; lo dobbiamo fare perché c’è un bisogno veramente grande, enorme. Io nel mio piccolo cerco di farlo, ma, se lo facciamo probabilmente tutti insieme, passa, passa in maniera più forte. Perché noi veramente tocchiamo le persone. Io soffro quando vado nei reparti, o per qualche familiare; io capisco, c’è la fretta. Questo lo dobbiamo far passare, perché noi tocchiamo con le nostre mani le persone, che siano bimbi o anziani. Sono inermi poi, tra l’altro, in quel momento. Io lo sento forte, e vi prego aiutatemi, dobbiamo fare questa cosa, per favore, facciamolo! È una cosa cui tengo tanto. L’altro, quando la Silvia ha definito il gruppo ... io son combattuta se andar via dall’ospedale, perché la mia vita è probabilmente da un’altra parte ... la mia qualità della vita non è a Firenze ma a P, perché è una dimensione diversa, è più vicina a me come persone; ma io a lasciare qui mi casca il mondo. Io so che vi porto dentro me stessa, dove io vado vi porto dentro, ma mi dispiace molto, perché è come se lasciassi qui qualcosa a metà, di incompleto. Non ho ancora fatto qualcosa che ancora non so che cos’è, però sento che non ho completato il mio percorso qui dentro; e fino ad allora io non vado via! E quindi troviamo ... Guardate è la prima volta in vita mia che lo esprimo, perché io amo quello che tutti noi stiamo facendo. E [sbagliamo] se non aiutiamo i nostri infermieri a ritrovare questa dimensione; ma forse molti di loro non ce l’hanno nemmeno, ed è questo il problema. Grazie!”.

“Volevo dire qualcosa, però dopo la M è dura. Voglio dire la mia esperienza, nel senso che anch’io sono scettico, un po’ come D. Anche se lo so che sono molto più aperto a queste esperienze di quanto io non creda. In effetti anche a me ha dato molto questo corso, rispetto ad altri, perché oggi ho sentito la continuità di percorso tra ieri e oggi. È stato comunque un sentire delle conferme, conferme che il gruppo c’è, anche se un tocco di novità però l’ho avvertita, cioè c’è qualcosa di più. Però delle conferme, conferme che il gruppo c’è e può fare ancora meglio; che questo corso è servito molto a questo gruppo, però c’è bisogno di fare quel passo lì, perché potrebbe anche rimanere a questo gruppo, invece effettivamente questo serve molto perché ognuno di noi ha dietro un gruppo. Però è un’esperienza che deve vivere direttamente chi lo tocca il paziente ... E poi una conferma anche del fatto che viviamo in solitudine, in un’epoca di solitudine, perché ci sentiamo sempre soli, che dobbiamo risolvere tutto noi, che non c’è mai nessuno che ti aiuta; che anche se generalmente conduciamo una vita felice, fortunata, perché nessuno può dire che abbiamo una vita sfortunata, però nonostante questo siamo estremamente soli. Io quello che ho trovato in particolare oggi ... Io non sono uno che ama molto stare con le persone, io preferisco stare da solo, lo dico tranquillamente, è un po’ un controsenso per un infermiere, però in realtà è così; a me piace essere in un contesto diciamo così, contemplativo, riflessivo. Però siamo uomini e siamo fatti per stare insieme ... Io, oggi, ho scoperto in effetti quello che qualcuno chiama energia, quei momenti magici in cui non hai bisogno di pensare a niente e ti devi far condurre insieme ad altri, alla pari. Io, per esempio, quando abbiamo fatto il cerchio, ho sentito quella sensazione ... potrei esemplificarla così nella mia vita: quando sei a un concerto di musica e tutti proviamo la stessa cosa e ci sentiamo un’unica cosa, il pubblico, su quella cosa lì, su quel sentimento, su quell’ emozione. Oppure come una manifestazione, un corteo, dove senti la forza, l’energia, che tutti vogliamo una cosa. Quindi io credo che ritrovare il gruppo sia anche ritrovare il nostro percorso, dove vogliamo andare, quando ritroviamo fiducia. Il secondo elemento è proprio anche questo, di essere condotti completamente, di lasciarsi abbandonare ... Siamo stressati da un mondo materialista che esclude completamente le relazioni, l’economia decide tutto, la tecnologia decide tutto, e poi alla fine, a margine, ci sono le relazioni. Ritrovare questa potenza delle relazioni ... Io ad esempio quando si ballava in cerchio ho avuto proprio la sensazione di chiudere gli occhi, io non sapevo più dove andavo, però ero certo che giravo senza pericolo; questa è una sensazione bellissima, io dicevo: non vedo dove vado, però ho una mano qui e una mano qua e sono tranquillo. Quindi ecco, queste cose qui, chiaramente non solo sono, come dire, formative, però ti danno delle conferme che è l’unica strada, questa, di doversi trovare”.

P. [tutor]: “Io volevo innanzitutto ringraziarvi per l’accoglienza e poi dire che mi son commosso molto, sia a vedervi che a sentirvi, perché non ho l’esperienza di Angelo, però delle condivisioni così ... toccanti le ho sentite raramente. È un gruppo ... si vede che c’era già, perché non ho mai visto una risposta così, da un gruppo. E quindi la Biodanza la fa il gruppo e il facilitatore, è un insieme; è stato molto bello. Io mi son preso appunti di quello che diceva Angelo, da cui imparo; e nello stesso tempo se qualcuno verrà all’IOT al mio corso di Biodanza, son già terrorizzato ... Comunque ognuno fa il suo ... Grazie, grazie a tutti”.

S. [tutor]: “Io avrei tante cose da dire, perché la Biodanza mi ha salvato da una crisi depressiva enorme, che avevo ... Scusate sono un po’ emozionata ... Mi ha salvato perché era un periodo che non riuscivo più a capire quello che avevo fatto per 40 anni come mai improvvisamente non tornasse più questo cerchio, che è il cerchio dell’ascolto, il cerchio della condivisione, il cerchio di tendere la mano ai bisogni degli altri. Perché io sono cresciuta professionalmente così, e mi sono dovuta adattare ad un linguaggio diverso, un linguaggio che in alcuni momenti può andar bene, però non buttiamo via tutto quello che abbiamo costruito fino ad ora perché si rischia di perdere l’identità. Ho scoperto la Biodanza con il mio conduttore che è P, che checché lui ne dica, è molto bravo. E da lì ho voluto capire meglio, perché questo mi faceva stare meglio, anche nel lavoro; riuscivo a vedere delle cose più “rosa” all’orizzonte. Questo poi mi ha portato ad iscrivermi alla Scuola [di Formazione], ad andare quando è possibile anche da persone che mi possono insegnare anche altre cose in Biodanza e a scoprire un mondo che abbiamo per molti anni tenuto lì e non tirato fuori. Questo perché io credo che la Biodanza ha questa proprietà, di tirare fuori quello che abbiamo dentro la pancia, perché per castrazione non riusciamo fino in fondo ad essere noi stessi. Ho capito che noi abbiamo un grosso potenziale, che rimane lì castrato a metà e non viene fuori e, secondo me, siamo una potenza e io l’ho percepito anche questa mattina quando abbiamo fatto l’esercizio delle mani: noi improvvisamente, come se fossimo dei maestri esperti di musica, abbiamo avuto gli stessi movimenti, gli stessi ritmi. Devo anche dire che non mi aspettavo questo gruppo di coordinatori di Torregalli, io non vi conoscevo, alcuni li conoscevo; e devo dire che sono state due giornate molto importanti per me, perché forse mi riconciliano col mondo della Sanità. Noi percorriamo una strada, ma la strada è fatta di persone e se noi togliamo la relazione e il contatto con gli altri, secondo me si è fallito nell’essere infermieri; io la penso così. Grazie”.

A. [tutor]: “Volevo parlare anch’io e fare dei ringraziamenti a chi mi ha permesso di essere qui. Quando parlavate voi prima a me veniva un po’ d’invidia, cioè dicevo: vorrei far parte anch’io di questo gruppo! Anche se non vi conosco, vi ho conosciuto tra ieri e oggi, però ... questo è il potere della Biodanza. Poi è vero che qui c’era già il gruppo; in altri gruppi di Biodanza ci sono persone con lavori diversi, di formazioni diverse. Qui l’ho percepito tantissimo, anche su di me: le persone che hanno una formazione sanitaria e hanno avuto un imprinting di contatto. Se poi qualcuno l’ha perso ... però c’era questa cosa e basta quel pochino per tirarla fuori, per ristimolare. E per questo la Biodanza riesce a tirar fuori qualcosa a chiunque, indubbiamente. Poi qualcuno di voi diceva che aveva paura a lasciare il gruppo; io posso comprenderlo da una parte, però potete essere soddisfatti di voi stessi e pensare comunque di riuscirci da qualsiasi altra parte. Un veicolo, uno strumento come la Biodanza sarebbe bene poterla allargare agli infermieri dei reparti, del territorio; sarebbe un grande benessere per la salute a 360 gradi. Grazie di questa esperienza a tutti!”.

“Se posso, prendo due minuti anch’io. Mi riallaccio alla frase di G. che mi è piaciuta particolarmente, questa potenza delle relazioni, che io in questa due giornate ho ritrovato veramente in tutto il gruppo dei colleghi che già conosco, però laddove magari anche un gesto, uno sguardo, un sorriso con un collega, con una collega sono già forse più scontati, al di là del fatto che io non conoscevo la Biodanza, non sapevo neanche di che cosa si parlava, però io mi sono stupito in senso molto positivo, ad esempio con te, P, o con te, G, con cui abbiamo fatto anche oggi interazione insieme in momenti con sottofondo musicale, con persone sconosciute. Poi questo riuscire immediatamente a fare proprie sensazioni, emozioni, con G o con P, che sono persone che fino a ieri l’altro non conoscevo, mi è piaciuto particolarmente. Questo grazie alla forza del nostro gruppo, alla nostra Silvia che è già coinvolta in questa cosa nuova e che ci ha fatto provare anche questo. E poi che feedback si può dare anche a te, Angelo; ce l’hai detto anche prima parlando della comunicazione: corsi similari di comunicazione e relazioni interpersonali, tutti noi ne abbiamo fatti anche diversi ... Questo è stato in una modalità molto molto forte che ci prende per la pancia, ci porta ad interagire con gli amici, con i colleghi, con gli sconosciuti in un modo veramente bello, veramente anche valido, veramente umano e, dal punto di vista relazionale, molto forte”.

“Volevo dire qualcosa anch’io. Visto che la comunicazione è al 90% non verbale, questa dimensione che si è sperimentata e sperimentiamo come gruppo in maniera diretta è il valore aggiunto dello stare insieme. Questo a me mi fa star bene, perché mi libera da tutti i clichè che purtroppo anche in un corso più formale, ti vengono imposti; e quindi sono me stessa, indipendentemente ... L’astensione dal giudizio è qualcosa che forse ti libera. Io provo un gran senso di libertà, libera in senso di benessere, libera ma al tempo stesso rispettando lo spazio altrui, quindi senza invadenza. Questa è una cosa che mi fa star bene, questa dimensione, secondo me, nella comunicazione e nella relazione è qualcosa che spesso ci fa paura, perché ci mette in gioco, è un po’ poco sotto controllo. Però, per lo meno per me e penso per molti, perché io credo che questa cosa che ci ha fatto uscire ... anche in altre situazioni, quello che come potenziale energetico esprime in quel momento. Ecco, io mi sono sentita bene! Questo mi ha fatto piacere, tanto che dovevo andar via ed ho scelto di finire questo percorso, di stare ancora queste due o tre ore, perché sentivo il desiderio di chiudere il cerchio, anzi spero di aprirlo! Però volevo un minimo di completezza, perché questo scorrere non fosse interrotto in maniera un po’ violenta come poteva essere l’uscita”.

“Anch’io vi ringrazio. Sono stato molto bene. Ci sono stati dei momenti particolarmente intensi che mi hanno dato molto piacere, proprio piacere forte, forte, forte! Non per nulla ieri l’unica cosa che mi è mancata è stato un rilassamento finale, infatti io sono arrivato a casa che ero parecchio carico, parecchio peso e per forza di cose non son riuscito a fare niente, un po’ di meditazione per scaricare; ma oggi, già lo stare disteso ... Non so, forse Angelo mi ha visto ... ad un certo punto ho iniziato a saltare, proprio mi muovevo da solo; è uno scarico, me lo fa quando sto particolarmente bene. Grazie a tutti. Un pensiero che mi gira per la testa e ve lo porto così, poi ognuno ne faccia quello che vuole, è una cosa che ho imparato oggi. Io oggi ho imparato che solitamente le mani si danno in due modi: qualcuno con me ha giocato con la mano, vero? stavo sperimentando ... E mi viene da rispondere anche a Silvia, con questa domanda. Grazie!”.

MG [tutor): “Anch’io volevo ringraziare tutti perché mi son sentita accolta in maniera totale. Io sono una coraggiosa che mi butto, però un pochino di paura ce l’avevo, invece poi è andato tutto bene e anzi, una cosa molto intensa che ho provato stamattina durante la vivencia è proprio la profonda sensazione ... Io mi sento la “sindrome della formichina” nel senso che io faccio passettini piccoli piccoli ... Però ho la percezione che siamo in una goccia del mare e che soltanto nella vicinanza e nella mescolanza si fa il mare e però ognuno è importante e indispensabile. E l’ho proprio sentita questa cosa, e quindi vi ringrazio”.

“Io ho provato delle emozioni così intense che mi fa quasi fatica parlarne! Perché mi sembra di essere in preda ad una droga, in uno stato di benessere che doverlo andare a descrivere con le parole mi sembra di sminuirlo. Sicuramente sono state emozioni fortissime, emozioni belle; cioè anch’io in realtà ho pianto tanto, ho pianto dalla gioia, perché ieri quando abbiamo fatto il giro ed ho guardato le persone negli occhi ho ricevuto sguardi positivi, non tutti forse, però era quello che ci doveva essere, però sicuramente sguardi che ti hanno fatto sentire appartenente a un gruppo, tanto che la mia voglia dopo (e l’ho potuto fare solo con la F che ce l’avevo vicina) sarebbe stata di abbracciarli tutti, perché era questa la gioia che mi avevano procurato. Trovo che siano esperienze belle, io sono scettica nel senso che non conoscendo a che cosa si va incontro, l’affronto senza sapere cosa mi aspetta, però le affronto anche con entusiasmo e mi piacciono quasi sempre, cioè difficilmente ne rimango delusa. Trovo che siamo diventati molto più bravi, più disciplinati perché devo dire che rispetto alla precedente esperienza in cui il silenzio non era possibile raggiungerlo e siamo stati brontolati più volte, questa volta mi sono stupita nel vedere quante ore siamo riusciti a stare in silenzio, probabilmente con una consapevolezza anche diversa. Sono percorsi che si fanno e ci si rende conto anche della necessità di non parlare. Quindi non posso che dire “grazie”. Io mi trovo bene in questo gruppo. Amo il mio lavoro ...”.

“Parlo io ora. Io volevo ringraziare tutti perché questo è l’ultimo incontro che fo con voi e mi sono sentita sempre parte del gruppo: è molto importante per me. Vi lascio con un po’ di nostalgia, ve lo devo dire, perché vi voglio bene tutti, soprattutto anche l’incontro con la nuova dirigente e mi sono sentita accolta bene anche da lei, mi ha conosciuto poco. Mi son sentita veramente bene in questo gruppo e vi ringrazio. Si ritorna sempre al discorso che per quanto riguarda l’assistenza è molto importante il contatto, la comunicazione, il saper ascoltare e dedicare almeno quei due-tre minuti a ogni paziente. Io penso che questa sia la crescita, crescere noi ma anche gli infermieri stessi che si stanno un po’ staccando dal malato. Lo penso io, però io sono ormai nella fase della pensione, son vecchia. Vi ringrazio tutti, vi voglio bene!”.

G [tutor]: “Mah, riflettevo in mensa che sono l’unico non sanitario e questo lavoro è un lavoro di Biodanza in azienda, quindi la centralità di questo lavoro è quello di cui avete parlato voi: essere parte di un gruppo. Allora vi volevo portare la mia riflessione, che io non mi sono sentito in questa diversità un escluso, uno “fuori”, perché la dimensione di lavoro che mi è stata resa possibile, grazie a voi, grazie a questo gruppo e anche grazie alla mia disponibilità e predisposizione. Sono venuto con entusiasmo qui, ho trovato il suo linguaggio, il linguaggio del corpo, e quindi attraverso questi corpi che si sono incontrati, in ritmi differenti, in momenti differenti, con profumi differenti, con pause anche differenti, io non mi sono sentito di non appartenere a questo gruppo. La riflessione potrebbe essere questa: stiamo parlando di un team di lavoro, è la mia testimonianza che vi voglio dare, quindi c’è una dimensione che va riscattata, secondo me, che va al di là della specificità del lavoro e che ci fa portare a casa, almeno a me, questo linguaggio universale, che è la relazione di cui si parlava prima, ma che attraverso questa comunicazione non verbale, attraverso questo corpo che si muove e che trova il ritmo di incontrare il tempo e lo spazio, di incontrare l’altro. E questa cosa qui io oggi, faccio Biodanza da tanto tempo, mi permetto di condividerla con voi con emozione, perché è la dimensione che mi ha emozionato molto e mi ha permesso di sentire che facevo parte comunque di un gruppo, di questo gruppo. Non so se son riuscito a dirvi qualcosa di chiaro, ma era qua, volevo dirvela. Grazie! Grazie dell’accoglienza”.

“Volevo dire anch’io due parole. Io son molto curiosa per tutte queste cose, pur sapendo ben poco di Biodanza. Ieri ho fatto questa riflessione, guardando un po’ tutti loro: “Ma io gli voglio bene a tutti!”. Li guardavo e non trovavo in nessuno di loro un motivo negativo e mi son confermata che io gli voglio bene a tutti. Poi in ognuno di loro, in questi due giorni, ho visto scintille di amore nei miei confronti. Quindi mi sento molto ricca, perché l’ho visto proprio in ognuno di voi ...”. [si commuove; emozione generale; commenti]

Angelo: “Vorrei dare l’opportunità a tutti di parlare. Anche se nessuno deve sentirsi obbligato, un pochettino stimolato sì! Per trasformare l’emozione in parola, questo sì! È un processo preciso ed un processo importante ...”.

“Ieri sera mentre cercavo di spiegare con parole semplici alla mia bambina e al mio compagno quello che avevo fatto tutto il giorno, gli raccontavo di questi balli, di questo esprimersi. Mi dicevano “Li conosci tutti” e dentro di me mi dicevo che ci sono state delle persone con cui non mi sono confrontata, non so se per caso o volutamente, ma non è capitato. Stamani mi sono incontrata con G. È stata una cosa ... Ti ringrazio perché veramente ... Mi son detta “Brava!”. Mi son piaciuta. Sicché ti ringrazio, solo questo!”.

“Posso parlare io? io faccio Pilates e balli caraibici. Questo corso è stato molto accattivante, con un maestro eccezionale, che ci ha saputo guidare, con una voce particolare. Due cose mi hanno sconvolto, ma veramente sconvolto: ieri eravate tutti in cerchio e ognuno doveva entrare dentro al cerchio, sostenere lo sguardo degli altri e avere anche un portamento eretto, per togliersi la corazza. Non è stato facile, io alla fine dei due giri tremavo dalla testa ai piedi, non so perché, devo ancora analizzare questa mia emozione. E poi un’altra cosa che mi ha sconvolto è stato il fatto che l’altro doveva entrare nei miei spazi e soprattutto io dovevo entrare nei suoi spazi: anche questo non è stato facile. Mi ha fatto piacere perché c’è stata una maggiore aggregazione nel gruppo; ho rinsaldato dei rapporti che avevo già e li ho consolidati e ho recuperato i rapporti che non avevo da tanti anni, mi sono chiarita con delle persone di cose in sospeso, e questa secondo me è una cosa molto importante! Grazie”.

“Io mi sento molto “rospa” in questi ultimi tempi che durano da un po’, quindi: non sono buona, me l’hanno confermato, in tanti, comprese le mie amicizie anche più vere, che ho ringraziato perché ho detto “Beh, almeno mi accoltellate davanti non alla schiena”. Ero convinta di essere una persona dolce, ma mi hanno detto: “Dolce? No! Hai tante qualità ma non sei dolce!”. Ne avrei fatto anche a meno, però a questo punto penso di dovervelo, penso di dovervi un “grazie”, perché se non avessi sentito comunque l’affetto, non so se oggi le mie difese sarebbero crollate. E dico “purtroppo” perché non so se esserne completamente contenta, però diciamo che ieri mi è piaciuto, mi è piaciuto molto perché io l’ho fatto con delle aspettative buone. Questa cosa della Biodanza, però, ho sempre poi la mia dose di scetticismo perché io sono sempre molto razionale e il controllo è fondamentale per me, il controllo su di me, sulle cose ... E oggi invece è successo ... Non lo so, lo trovo ancora un po’ pericoloso. Oggi è stato un po’ faticoso, ieri stavo bene. Oggi sì, sto bene, ma mi sento in una situazione un po’ di pericolo. Però poi mi sono detta: “Se questo è successo è perché ci siete voi!”. Quindi ... anche io vi voglio bene”.

“Posso? Io intanto voglio ringraziare la Direzione infermieristica che ci ha permesso di fare quest’esperienza. Come ha detto S, noi ci sentiamo molto più distaccate nell’altro gruppo. Io sono molto convinta che il bene si può fare e si può scegliere e sono molto attratta da questa possibilità che alcune tecniche ci danno di liberarci da questa corazza che è la razionalità e mettere in piazza la nostra parte, che è forse la più bella, come abbiamo avuto modo di sperimentare in questi due giorni, la parte che ci aggrega di più, che ci fa sentire unici ma nello stesso tempo parte di uno stesso universo. È anche abbastanza difficile descrivere una cosa del genere. Io in questi due giorni ho avuto la sensazione, un po’ con tutti, con qualcuno di più con qualcuno di meno, come se ci fosse un passaggio reale, un qualcosa che non è soltanto un sentimento ma un qualcosa che se apri le mani riesci a sentire. Io ho avuto la sensazione di essere “portata” verso certe persone; in un certo momento sentivo che avevano bisogno di quella mia energia e contemporaneamente sentivo dall’altra parte questa sensazione di rimando, qualcosa che è bene e che fa bene. Poi, va beh, mi dispiace per oggi, ma sono contenta che tu mi abbia tirato fuori ... Tu hai detto prima che hai provato una sensazione particolare, di questo sono contenta, io a volte penso di essere un po’ matta e mi dico: “È tutta suggestione”; però vi assicuro che è una sensazione troppo bella. Grazie a G per oggi, anche se credo che tu abbia una forza, una grandissima energia, e per poter ritornare, nonostante tu mi toccassi, il tuo tocco era troppo “cosmico”, ho avuto bisogno della colonna per sentirmi a terra, perché tu mi portavi in un’altra dimensione. Mi piacerebbe veramente che quest’esperienza non fosse limitata ai coordinatori. Mi piacerebbe che questa sensazione, questa modalità di comunicazione fosse estesa al gruppo delle ostetriche; soprattutto perché sono convinta che il nostro lavoro sia fatto di tanto “toccare”, in una situazione, in un momento in cui l’energia esplode, perché la nascita è l’esplosione della vita, l’esplosione dell’energia, l’esplosione del corpo. Credo che oggi, rispetto a quando abbiamo fatto noi l’esperienza di lavoro, ci sia troppo contenimento, troppa corazza, che va tirata fuori, che va annientata per dare veramente spazio a quest’esperienza che non è solo per quella mamma, per quel bambino, per quel papà; che è un’esperienza tremendamente magica anche per chi l’assiste. Mi piacerebbe che le colleghe potessero vivere questa cosa; perché credo che il vivere quest’esperienza così forte, così magica, faccia superare poi tutte quelle barriere, tutte quelle problematiche che poi in realtà ci sono ma non sono reali. Quindi grazie, grazie veramente tanto; a qualcuno l’ho detto stamani mattina; vi voglio veramente bene. Io sono una persona che quello che lo dico, lo dico, nel bene e nel male, purtroppo. Però vi voglio veramente bene!”.

“Io mi volevo collegare con te, perché devo dire qualcosa alla S. La S. ha un gruppo di ostetriche nella sala parto che veramente, veramente lavorano con la passione; io ho avuto un’esperienza diretta e ho visto la forza e la volontà che davano a queste mamme e il contatto, c’era tanto contatto. Veramente fo i complimenti alla S. Devo dire che in sala parto l’emozione mi è venuta anche a me, l’emozione per questa ostetrica e per questa allieva, che davano questa sicurezza a questa mamma e questa felicità, proprio col contatto, col parlare, lo scoprire i bisogni della mamma ancora prima che lei li potesse esprimere. Per cui ti devo dire la verità, è un gruppo veramente bello: io ho assistito a questo parto ed è stato bellissimo! Complimenti”.

“Rispetto a quello che diceva R, il “toccare” è veramente nostro, e noi, nonostante chiediamo sempre il permesso alla mamma, tocchiamo la mamma, la sua pancia, sentire il suo bambino, è troppo bello, un’emozione che io penso ... Non è tanto insegnare a toccare la mamma ma il significato di quel tocco, capirlo, perché istintivamente ce l’hai, ma ti manca, per alcune più per altre meno, il significato”.

“Non so se la sentite anche voi questa cosa: nell’arco della vita si incontrano persone che vanno, vengono, io credo in questo, che ogni persona con cui hai comunque un incontro o uno scontro rappresenta comunque un qualcosa. Anni fa in Chirurgia eravamo un gruppo di persone che, secondo me, come oggi, non si sono incontrate a caso, c’è sempre un motivo; e se ci si riflette, ancor prima c’è già stato un incontro ... Non so se riesco a spiegarmi, prima di arrivare a oggi, che magari ci siamo anche dimenticati, ma che secondo me ha proprio un significato. Se siamo qui è perché veramente dobbiamo fare qualcosa insieme. Perché io riflettevo: con la M ci ho lavorato trenta anni fa, abbiamo aperto insieme la Neonatologia e poi magari non ci siamo più ritrovate per venti anni; così come con la B. E secondo me il trovarsi, perdersi e ritrovarsi, comunque ha un fine, qui come fuori. Io la sento questa cosa, secondo me veramente dobbiamo fare qualcosa insieme”.

Angelo: “Mi sembra che tutti abbiano preso parola; posso prendere io la parola, sia in senso personale sia un pochettino in forma conclusiva. Allora è questo: la mia grande felicità di essere qui, di aver avuto questa opportunità di fare questo lavoro. I fili che si sono tirati e hanno reso possibile questa cosa: in primo luogo P, perché se non c’era il lavoro di P, non c’era Silvia, l’entusiasmo di Silvia e il coraggio di Silvia grazie al quale siamo qua. Ciò che io sento e ciò che voglio ancora esprimere è un pensiero che mi segue da parecchio; cioè io credo che gli ospedali, che la Sanità debba riappropriarsi del femminile; cioè gli ospedali si sono maschilizzati, cioè la mentalità medica, la mentalità scientifica, che poi ha portato del bene, ci mancherebbe altro! Però ha completamente tolto il potere femminile. Io credo che sia adesso il tempo per riequilibrare questo squilibrio. È arrivato il tempo perché finalmente gli infermieri, le ostetriche, le figure sanitarie non mediche stanno acquisendo ed hanno acquisito potere; questo è un passo essenziale, perché senza di quello continui a far la serva e non è quello ciò che serve. Perciò anche il ruolo dei dirigenti: chi è in questa posizione è in un ruolo chiave! Io spero che molti vivano con entusiasmo questa responsabilità. Io trovo che fra gli infermieri c’è veramente tanta consapevolezza, tanta bellezza; io questo lo penso fin da sempre. Per fortuna ormai abbiamo un discreto potere; dobbiamo anche aumentarlo e usarlo per riequilibrare, per portare questo elemento femminile; che poi non è solo l’elemento delle donne, anche noi maschi possiamo avere un elemento femminile. Però è proprio questa dimensione della cura, questa dimensione del contatto, questa dimensione dell’affettività: l’Affettività, questa è la parola nuova e chiave, secondo me. In questo, lo strumento della Biodanza è formidabile. Io spero davvero che riusciamo a moltiplicare questa esperienza, a trovare strade, a capire che i pochi soldi che ci sono è bene investirli molto in questa direzione.”


Allegati

Note

Questo progetto è stato presentato al Convegno "La Biodanza come complemento alle professioni di aiuto. Esperienze italiane a confronto", Firenze, 30 Marzo 2015.



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