A cura della Redazione di Biodanza Italia
Stiamo attraversando un periodo così particolare che per molto tempo non mi è neppure apparso opportuno parlare. Dubito che qualcuno avesse delle ricette pronte. In un certo senso ho grande diffidenza verso chi ne propone. Credo infatti che nessuno di noi avesse la possibilità di fare paragoni con esperienze simili vissute nel corso della propria vita.
Si è parlato molto in questo periodo, quante parole, scritti, riunioni, messaggi! In un certo senso questo è diventato più virale del virus stesso. Devo dire che per molti aspetti ho avuto la sensazione che questo servisse soprattutto a riempire un grande vuoto. Forse perché il “vuoto” è ciò di cui abbiamo più paura. Ed è stata una grandissima provocazione anche per noi facilitatori di Biodanza quella caduta facile “caduta in tentazione” …la tentazione di avere delle risposte da dare.
Chiaro che per noi la questione vera abbia avuto a che fare con l'istinto di protezione verso i nostri allievi, i nostri gruppi, lo stare a contatto con le loro e le nostre preoccupazioni.
Forse per qualcuno la reazione è stata quella di mettersi subito in moto.
La provocazione che invece sento di offrire è legata alla mia vivencia personale di questo periodo. Credo sia importante per noi tornare a interrogare la nostra vivencia, porci in uno stato di ascolto, di apertura rispetto ad essa, cioè al “qui-e-ora” che in questo momento ha a che fare - credo - con uno “stato di sospensione”.
Vorrei ripartire dall'inizio, dal primo momento, che ha corrisposto a uno stato di shock, che è stato forse caratterizzato da uno stato di allarme, dalla percezione di minaccia.
La reazione emotiva collegata alla minaccia è, organicamente, l'emozione della paura: quando lo stimolo esterno è minaccioso si attiva questa emozione. Sappiamo che questa emozione può dare avvio due tipi di reazione: l'attacco o la fuga, in modo molto semplice. In questa situazione il nemico percepito era molto più forte di noi, troppo forte per giustificare, in termini di sopravvivenza, una reazione di attacco rivolto contro di lui. Era molto più intelligente, in qualche modo, ritirarsi. E infatti ci siamo chiusi in casa, ci siamo dati protezione, abbiamo immediatamente fermato i gruppi di Biodanza, abbiamo limitato i contatti fisici.
Ma qual è stata la vivencia? Le persone che fanno Biodanza mi sembra siano molto più connesse con l'universo emotivo, sono abituate a percepire le emozioni e a muoversi in modo coerente e integrato con esse. Perciò, dare voce all'istinto di autoconservazione ha corrisposto al muoversi nella direzione della protezione di sé, dei propri cari, di quello a cui vogliamo bene. Certamente la vivencia per noi tutti è stata di contatto con la nostra fragilità, con lo stato di vulnerabilità. Stare fermi, paradossalmente, era il movimento più intelligente. Tutti gli animali sanno che quando il pericolo è molto alto la possibilità per sopravvivere è quella di immobilizzarsi. Questo corrisponde a rendersi meno visibili, meno aggredibili.
Contemporaneamente è successo qualcosa, mi sembra, alla percezione del tempo, e anche questo ha molto a che fare con la nostra vivencia. Il tempo si è sospeso, come fermato. Per alcuni versi si è espanso. Siamo stati totalmente catapultati in un presente assoluto, senza via di uscita. Improvvisamente il futuro non è stato più percepibile… .come se qualcuno ce l’avesse rubato.
Molti sono entrati in questa esperienza, costretti a "stare dentro". Siamo entrati, in modo repentino, in questa nuova situazione. E qui c'è qualcosa di interessante. Come accade fisiologicamente, passato lo shock iniziale, molti di noi si sono come risvegliati. Per molti questo ha corrisposto all’ingresso in una possibilità che forse non ci eravamo mai dati prima, e che forse non ci saremmo mai dati, senza questa provocazione.
Ed è iniziata, un poco alla volta, con circospezione, un'altra fase, corrispondente a questa possibilità: aprire gli occhi, guardarsi intorno, guardare dentro. Dentro a questo nido, a questa casa, a queste relazioni. Osservare come mi nutro, come dormo. Osservare il ritmo che posso dare alla mia giornata. Che cosa posso fare, quali sono le cose davvero importanti nella mia vita…
Per molti questo ha dato origine a diversi movimenti.
Chi si è occupato di pulire la casa, di tirare fuori il vecchio, di eliminare quello che non serve più per fare spazio al nuovo, che ancora deve arrivare. Per altri è stato un tempo di studio, un tempo per scrivere, un tempo per studiare, per cantare, per dipingere… per creare. Ma con una percezione più accentuata, amplificata rispetto all’usuale, della differenza, della distanza tra il dentro e il fuori. Questa situazione ha, in qualche modo, amplificato fortemente il senso, e la percezione, per ognuno di noi, di cosa è dentro e di cosa è fuori. Lo stato di coscienza, in questo momento, è uno stato di coscienza alterato rispetto all'usuale. Potremmo dire che forse, in qualche modo, è paragonabile a uno stato di coscienza espansa, per alcuni aspetti.
Certo, per molte persone che praticano discipline che consentono una dimensione molto individuale, come ad esempio lo yoga, la meditazione, ecc., è stato anche possibile continuare a praticare senza una forte interruzione. Ma per noi che facciamo della Biodanza la nostra forma esistenziale, com'era possibile questo?
Bene, le mie considerazioni sono fortemente rivolte al tema di che cos’è “essere in vivencia, realmente. E quindi anche a… che senso diamo alla nostra possibilità di stare nel “qui-e-ora”, e anche alla possibilità di stare, di permanere, in uno stato in cui non è possibile, non.è plausibile, dare delle risposte. Mentre tutto il mondo, allertato, si sta prodigando nel continuare a darle, per poi smentirle subito dopo.
Non so… non ha senso, credo che questo possiamo dircelo, praticare Biodanza in solitudine, senza la dimensione inter-soggettiva, senza la presenza, il contatto, lo sguardo… la dinamica che si instaura nel gruppo. La danza rischia di tradursi in ballo, in esercizio scollato dalla vivencia con tutta la dimensione di integrazione che invece troviamo nella vivencia, e a cui facciamo appello.
In tanti di noi hanno provato a sperimentare forme di connessione consentite dagli strumenti oggi a disposizione - penso alla rete, al web, a tutti gli strumenti tecnologici usati - però, sempre con la consapevolezza di quanto il vero fine fosse di cercare di mantenere la connessione con l'altro, con il gruppo, con le persone, per farci sentire che non eravamo soli. Perché il vero, grosso rischio in questa situazione, che prevede una forma di protezione, di introversione, di chiusura nel dentro, è quello di trasformare velocemente questo stato in una forma di isolamento.
Ecco, questa è una domanda che cerca nel suo essere domanda, nel suo restare domanda, l’avere senso… una domanda che non vuole, in questo momento, dare delle risposte, anzi, che sospende la risposta…
Perché l'invasione che tutti questi strumenti ci hanno proposto in questo periodo, a mio parere, ha avuto in realtà un grosso effetto anche in termini poco organici.
Forse molti come me hanno avuto la percezione di grande fatica, anche mentale, intellettuale, oltre che fisica, dopo tutte queste riunioni fiume fatte al computer, necessarie, utilissime, però faticosissime.
Quindi metterei come punto in questione la dimensione dell’organicità.
Così come resta per me fondamentale la grossa domanda: “Che cos'è il qui-e-ora?”.
Come dicevamo prima, per qualcuno forse tutta questa situazione ha generato una dimensione di ansia, che certamente è anche legata alla percezione di un futuro incerto.
Vorrei dire che, nella mia percezione personale, questa sottrazione del futuro ha corrisposto -e corrisponde tutt'ora- a una percezione differente del “qui-e-ora”; come se fosse in un certo senso la prima volta, per me almeno, in cui la sottrazione del futuro… conferisse senso e significato differente alla percezione del qui ed ora.
So che questo è forse molto più condivisibile da persone che hanno avuto esperienze traumatiche, come ad esempio chi ha ricevuto una diagnosi di cancro… che improvvisamente si è visto rubare il futuro, e ha percepito la dimensione del “qui-e-ora” quasi come una prigione, fintanto che non ha avuto la possibilità di recuperare, la possibilità di pro-gettarsi, di proiettarsi nuovamente per futuro.
Personalmente, e senza che questo abbia la pretesa di assurgere a valore assoluto, ma certamente a valore personale, sono entrata nella percezione che in realtà le risorse che mi servono per vivere nel “qui-e-ora” sono molto poche, e che, se non mi lascio sovrastare dall'incertezza del futuro, il mio presente è davvero molto poco dispendioso. Nella realtà sento molto forte la connessione con la dimensione di abbondanza, non con la dimensione della mancanza..
E mi è molto chiaro che molti bisogni sono in realtà bisogni indotti. Questo non è mai stato così fortemente chiaro come lo è ora.
Mi sembra che molte preoccupazioni legate garantire una disponibilità di denaro - penso alle soluzioni che le organizzazioni stanno cercando di adottare per risolvere il problema economico - siano ancora molto orientate a un modo di pensare… vecchio.
Abbiamo bisogno di avere soldi a disposizione, o la percezione di averne, per continuare a spendere, per mantenere vivo un sistema che è proprio fondato sul nostro “consumare”.
Forse possiamo dire oggi, aprendo gli occhi, a partire da questo dentro… che la possibilità di “sospendere” quello che a dismisura ci serve per essere consumatori, in realtà ci ha messo - e ci mette - più in contatto con ciò che la natura stessa sta facendo. Quella natura che si sta riconquistando lo spazio che le avevamo tolto, rubato… la terra, l'acqua, l'aria, gli animali…
Così… per arrivare alla dimensione vivenciale, a questa possibilità che abbiamo, ora e qui, di ritrovare la connessione con la vita, con questa vita che, con la nostra cultura e con il nostro modo di vivere, abbiamo progressivamente spento e cercato di controllare… dimenticandoci spesso che “siamo vivi!”
Siamo vivi perché siamo parte della vita, siamo parte della natura, siamo figli della terra, dell'acqua, dell'aria, di tutti gli elementi, che abbiamo snaturato e costretto a essere funzionali a noi, assoggettandoli al nostro controllo, a volte distruggendoli…
Bene, proseguendo a ruota libera, l'altra domanda che mi pongo riguarda la nuova fase che arriverà, probabilmente anche molto velocemente… “quale vivencia?”
Il mio pensiero è che sia necessario mantenere una presenza attenta, costante per non incorrere nel rischio di trasformare il nostro movimento, di nuovo, nella direzione dell'ansia di perdere qualcosa...
L'insegnamento fondamentale della Biodanza è diverso dalle altre pratiche, e penso soprattutto a un passaggio per me significativo: il passaggio dal diktat "stai nel sintomo", proposto da alcune discipline, perché “così puoi capire da dove vengono i tuoi problemi” a un'altra forma di essere, a un'altra proposta, che è "fluisci nell'esistenza". Laddove il fluire, la fluidità, da categoria del movimento si fa categoria esistenziale.
Per fluire ho necessità di avere fiducia. Avere fiducia che la vita segue una saggezza. Una saggezza che va ben oltre il mio piccolo orizzonte… e che in ogni momento anche ciò che sembra immobile è un continuo movimento, ed è continua trasformazione.
Mi piace pensare che sia possibile prepararci al nuovo che arriva non vestendoci di armature e nuove corazze, non impugnando chissà quali armi, ma restando fedeli alla vivencia, cioè alla presenza assoluta, aperta, alla nuova consapevolezza che si fa strada.
Quali emozioni mi aspetto? Mah… per questa fase mi aspetto, e forse ritengo anche sia importante, accedere con presenza a un'emozione, che potremmo chiamare dello “spaesamento”.
Quando usciremo fuori, e lasceremo il dentro, in quale “paese” ci troveremo?
Ci troveremo ancora di casa “là fuori”?
Certo, la commozione più forte, quella di essere vivi, avrà, immagino, il sopravvento… e sarà indubbiamente super-amplificata nel momento in cui potremo nuovamente incontrarci.
Sarà necessario concederci progressività. Così come la capacità e la possibilità di mantenere il più possibile aperto lo stato di “sospensione”, di “spaesamento”, la percezione di un tempo che forse non è più kronos e forse non è ancora kairos, ma che è aoristos kronos, ovvero uno spazio di tempo “non definito”.
E così vorrei fare appello a una possibilità, che ritengo estremamente legata allo stato della vivencia, all'essere noi stessi vivencia… e che ha a che fare con lo “stare” nel processo, con lo “stare” nel passaggio, nel non volere essere già oltre, nel non volere essere già nel dopo… nella possibilità di integrare lo “spaesamento” come emozione, complessa ma estremamente interessante e fervida di possibilità.
L'emozione che mi costringe a non avere sempre delle risposte, ma a poter stare in uno sforzo di apertura, in uno spazio di apertura, là dove “l'impossibile possa accadere”.
Per poterci stupire ancora
di noi stessi,
dell'altro,
della vita.
Micaela Bianco
(*) Trasposizione del testo dal video (con musiche e immagini a cura di Myrthes Gonzales) di Simona Malta.
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